23 lug 2010

NON FAREMO PRIGIONIERI

Forse non ce ne rendiamo conto o forse non siamo più così attenti nel percepire i segnali di allarme che ormai frequentemente provengono dalla realtà quotidiana alla quale incoscientemente ci abbandoniamo, ma ci stiamo pericolosamente avvicinando a quel momento che in linguaggio tecnico potremmo definire "punto di non ritorno".

L'orizzonte degli eventi non è sufficientemente scandagliato e noi, come naufraghi ibernati su una nave interstellare alla deriva in attesa del risveglio criogenico che ci farà infine percepire la drammatica realtà della situazione, ci culliamo in questa torrida estate perdutamente partecipi agli ormai stracollaudati riti vacanzieri e ansiosamente impegnati nell'imitazione degli stereotipi estivi ossessivamente propagandati dai media nazionali.

Orbene per "punto di non ritorno" intendo quel momento in cui non sarà più possibile invertire la rotta e tornare indietro, quel momento in cui noi, ovvero la nostra società civile, avrà definitivamente e irrevocabilmente abbandonato quel solenne principio che i padri fondatori hanno promulgato con la nostra Carta Costituzionale e che dichiara (art.1) l'Italia essere una repubblica democratica fondata sul lavoro.

Ora, di malavoglia trascendo dal significato profondo delle parole repubblica (cosa di tutti) e democrazia (governo del popolo) ma non posso non soffermarmi sulla parola "lavoro". Anche quì la nostra Costituzione ci viene in aiuto e sancisce il diritto (art. 36) del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sè e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa.

Ma allora la nosta Costituzione parla di una realtà che è sul punto di scomparire!
Infatti. Essa viene progressivamente abbandonata a favore di una visione del lavoro dove il precariato, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, il caporalato,una latente e pericolosa forma di neo schiavismo, l'insicurezza economica e sociale sono diventati il canone di riferimento e il disegno strategico occupazionale riservato alle future generazioni.

Il termine lavoro riporta al latino labor con il significato di fatica. Sono noti i detti della letteratura classica "durar fatica" e "operar faticando". Ancora oggi in alcuni dialetti si utilizzano i termini "faticare", "andare a faticare" (come nei dialetti del Sud Italia), per intendere "lavorare" e "andare a lavorare". Altro termine dialettale come sinonimo è travaglio, dal francese travailler, per esempio in siciliano "lavorare" si dice "travagghiare" e in piemontese "travajè".

Purtroppo molti pensano che questa sia oramai una visione sorpassata e quasi romantica della questione e siccome lavoro vuol dire guadagno, reddito e quindi rendita oggi assistiamo ad una progressiva rivalutazione ed importanza delle rendite che non scaturisconoi direttamente dal lavoro ma sono chiamate "di posizione" ovvero hanno origine dallo spregiudicato impiego di sofisticati strumenti finanziari, dalle rendite di capitali (legali e non), dalle speculazioni finanziarie internazionali, dalle attività di improvvisati "comitati di affari" volti a depredare le finanze pubbliche (ovvero le tasse che i cittadini pagano allo stato) e dai più svariati marchingegni finanziari svolti all'ombra di compiacenti "paradisi fiscali", tutte cose che alla fin fine ottengono il perverso effetto di impoverire i più e arricchire pochi.

Tutto questo non è più tollerabile. Dobbiamo dichiarare guerra a tutti costoro che ci spingono a folle velocità lungo questa rotta insidiosa, dobbiamo sostituire questi piloti del cazzo e dire loro che mai più li rimetteremo al posto di comando. Sarà un lotta lunga, insidiosa e crudele ma vinceremo e sopratutto...non faremo prigionieri.

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